protezione internazionale: l'omosessualità del richiedente deve essere provata

31/03/2020 n. 7623 - Sezione I

FATTI DI CAUSA
1. – OMISSIS ricorre per un unico articolato motivo, nei confronti del Ministero dell’interno, contro la sentenza del 28 maggio 2018 con cui la Corte d’appello di Ancona, pronunciando su appello dell’amministrazione ed in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato la sua domanda di protezione internazionale o umanitaria, in conformità con quanto aveva inizialmente fatto la competente Commissione territoriale.

2. – Non spiega difese l’amministrazione intimata.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, violazione di legge e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 7, 8, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, art. 9, comma 2, art. 13, comma 1 bis, e art. 27, comma 1, violazione e falsa applicazione dei suddetti articoli di legge anche quale conseguenza della violazione dell’art. 116 c.p.c., violazione dell’obbligo di congruità dell’esame e di cooperazione istruttoria.

Secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che dalla sua stessa narrazione non potesse desumersi la condizione di omosessualità posta a fondamento della domanda di protezione, risultando che egli avesse intrattenuto soltanto due relazioni omosessuali, una in età adolescenziale, l’altra mercenaria. Il giudice di merito, inoltre, nel valutare come incongruente, generico e non credibile il racconto del richiedente, non aveva indicato le ragioni su cui aveva basato il proprio convincimento, nè aveva doverosamente proceduto a richiedere al medesimo gli eventuali chiarimenti ritenuti necessari. Parimenti, la Corte territoriale non avrebbe potuto porre in dubbio l’orientamento sessuale del richiedente per il fatto che, una volta stabilitosi in Italia, egli non risultava aver frequentato ambienti gay. Erronea, ancora, era l’affermazione contenuta in sentenza in ordine all’assenza di una prova documentale della condizione di omosessualità, con l’aggiunta, addirittura, che la narrazione svolta fosse priva di riscontro per la mancanza di prove “dell’esistenza di un eventuale procedimento penale nei suoi confronti, nè di attività di ricerca da parte della polizia del Gambia, nè di atti persecutori nei suoi confronti”. Infine la Corte d’appello avrebbe mancato di approfondire la situazione del Paese di origine.

2. – Il ricorso è inammissibile.

2.1. – L’inammissibilità discende anzitutto dalla violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dal momento che il ricorrente ha posto a sostegno del ricorso le dichiarazioni rese dinanzi alla Commissione territoriale, il provvedimento di quest’organo nonché le argomentazioni difensive rappresentate nell’atto introduttivo del giudizio di fronte al Tribunale: ebbene, nessuno di tali atti è “localizzato” (Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161; Cass. 20 novembre 2017, n. 27475), ed anzi non risulta dal ricorso neppure che siano stati prodotti i fascicoli di parte delle fasi di merito.

L’assenza di tale documentazione, d’altronde, non rileva soltanto sul piano, peraltro insuperabile, dell’inosservanza dell’adempimento formale prescritto dalla norma, ma ridonda su quello contenutistico, giacchè la Corte di cassazione non è neppure posta in condizioni di scrutinare la doglianza del ricorrente, nel suo nucleo essenziale, laddove egli afferma che il giudice d’appello si sarebbe limitato a richiamare “quanto già dedotto dalla Commissione territoriale” ed avrebbe “completamente omesso di valutare le ragioni introduttive del giudizio e accolte dal Giudice di primo grado”.

2.2. – Il ricorso è inoltre inammissibile per violazione del numero 3 dello stesso art. 366 c.p.c., il quale richiede che il ricorso contenga a pena di inammissibilità l’esposizione sommaria dei fatti di causa.

Si è accennato che, nel caso in esame, il Tribunale aveva accolto la domanda del richiedente, accordandogli “lo status di rifugiato” (tanto riferisce il ricorrente a pagina 5 del ricorso). Orbene, nulla è detto in ricorso nè della domanda rivolta al Tribunale, nè del contenuto della decisione di quest’ultimo, nè del contenuto dell’atto d’appello dell’amministrazione, nè delle difese svolte dal OMISSIS, nè dell’eventuale riproposizione, da parte sua, di domande ed eccezioni non accolte ai sensi dell’art. 346 c.p.c.: sicchè questa Corte non è in grado di verificare se le questioni sollevate siano tuttora “vive”, ovvero – e questa è la essenziale ragione della previsione normativa – se si tratti di questioni coperte da giudicato o comunque abbandonate.

2.3. – In ogni caso il ricorso è inammissibile perché totalmente versato in fatto.

Nel motivo, difatti, non si discorre affatto del significato e della portata applicativa delle norme richiamate in rubrica, ma solo della concreta applicazione che il giudice di merito ne ha fatto, ritenendo che la narrazione posta dal richiedente a fondamento della domanda fosse generica, scarsamente credibile e stereotipata.

Come è noto, infatti, dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va difatti tenuta nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315; Cass. 16 luglio 2010, n. 16698; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10313).

Ciò detto, vale osservare che la Corte territoriale, nel ritenere sostanzialmente implausibile la narrazione del richiedente, ha, contrariamente a quanto da questi sostenuto in ricorso, esplicitato le ragioni del proprio opinamento in modo sintetico, ma ben comprensibile. OMISSIS, difatti, aveva sostenuto di essersi sforzato di mantenere segreta la sua relazione omosessuale con un cittadino canadese, e, tuttavia, non si sa come, un mattino si erano presentati presso la sua abitazione uomini delle forze dell’ordine che avevano sparato a sua sorella ed arrestato la madre ed il cittadino canadese, mentre lui era immediatamente scappato: al che la Corte territoriale ha obiettato che siffatti eventi presupponevano la pendenza di un procedimento penale contro di lui, del quale non vi era invece alcuna traccia non solo documentale ma neppure narrativa. Quanto alla situazione del Gambia, la sentenza impugnata ha valorizzato la circostanza del giuramento del nuovo presidente del Paese, in data 18 febbraio 2017, e la sua promessa di democrazia, libertà, progresso e benessere, a chiusura della precedente dittatura. E proprio tale complessiva valutazione di merito il ricorrente ha inammissibilmente attaccato, con lo scopo di ribaltarla.

3. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2020

rettificazione sesso - autorizzazione al mutamento del sesso

12/03/2020 n. 365 - Tribunale modena

Co. Ri. citava in giudizio avanti all’intestato Tribunale la Procura della Repubblica di Mo., premettendo che il Tribunale, con sentenza n. 1678/2018 pubblicata in data 11.10.2018 e passata in giudicato, aveva accolto la domanda di rettificazione di sesso dalla stessa formulata, attribuendole il sesso femminile ed i prenome “Co.” in luogo di An., e chiedendo l’autorizzazione a sottoporsi all’intervento chirurgico di rettificazione dei caratteri/tratti sessuali.

Esponeva all’uopo l’attrice di aver maturato la decisione di sottoporsi all’intervento successivamente la conclusione del precedente giudizio, e che il proprio percorso di transizione, iniziato nel 2013, non era mai stato oggetto di ripensamenti. Le relazioni mediche e psicologiche cui la stessa si era sottoposta, d’altro canto, avevano tutte concluso per una decisione pienamente consapevole riguardante il cambiamento di sesso e le relative conseguenze.

All’udienza del 7 novembre 2019 parte attrice era sentita liberamente dall’Istruttore, il difensore precisava le conclusioni e il Giudice tratteneva la causa in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La domanda è fondata.

La relazione psicologica rilasciata il 7.2.2018 dalla dott.ssa Da. An. Na., consulente presso il MI., rileva che la sig.ra Ri. (all’epoca Ri. An. ) presenta disforia di genere, ovvero transessualismo irreversibile e, escludendo la presenza di patologia mentale, “…esprime parere favorevole a che la persona Ri. A. possa rettificare gli atti anagrafici e di stato civile e possa accedere all’intervento chirurgico di rettificazione e attribuzione di sesso ai sensi della legge 14 aprile 1982, n. 164” (doc 2 fasc. att.).

Anche la relazione in data 21.12.2017 della dott.ssa Ma. Cr. Me., endocrinologa presso l’AOU S. Or. – Ma. di Bo., ha attestato che gli interventi medici eseguiti negli anni da Ri. An. testimoniano la sua ferma volontà di vivere in conformità al sesso femminile assumendone i tipici ruoli; conclude poi affermando che: “…dal punto di vista medico non sussistono controindicazioni all’intervento” (doc. 3).

La documentazione prodotta deve ritenersi sufficiente per l’accoglimento della domanda, trattandosi di relazioni provenienti da professionisti affiliati a strutture sanitarie pubbliche, in particolare da consulenti del MI. (Movimento Identità Transessuale), che svolge attività convenzionata con l’Azienda USL di Bologna e che si caratterizza come centro specialistico di riferimento a livello nazionale per persone che presentano disforia di genere. D’altro canto, essi sono già stati ritenuti esaustivi dal Tribunale nel procedimento conclusosi con la sentenza che ha autorizzato la rettificazione dei dati dell’attrice con cambiamento del nome e annotazione negli atti anagrafici.

Dall’ interrogatorio libero dell’attrice, inoltre, è emersa la sua meditata volontà di sottoporsi all’intervento di rettificazione del sesso al fine di completare il percorso intrapreso con la domanda di rettifica dei dati anagrafici.

Ricorrono pertanto i presupposti per autorizzare l’intervento richiesto.

PQM

Il Tribunale di Modena, autorizza Ri. Co. a sottoporsi all’intervento chirurgico di rettificazione dei caratteri/tratti sessuali.

Co.ì deciso in Modena, il 29/01/2020 Il Giudice Relatore Il Presidente dott. Susanna Zavaglia dott. Riccardo Di Pasquale

distrofia di genere e cambio anagrafico - il tribunale di milano descrive il percorso

17/02/2020 n. 1479 - Tribunale Milano sez. I

Il ricorso alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in particolare in quei casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica. La prevalenza della tutela della salute dell’individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione – come prospettato dal rimettente -, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico

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