responsabilità d'equipe in emergenza - responsabilità del medico che procede nonostante sappia che manca una ecografia necessaria

29/09/2020 n. 28316 - Sezione IV

Il medico che partecipa ad un atto clinico, che sa non essere eseguito correttamente, ha l’obbligo di opporsi e manifestare il proprio dissenso in cartella clinica e deve pretendere l’esame clinico omesso.
La presa in carico del paziente, nel momento dell’effettuazione dell’ intervento chirurgico al quale il medico partecipa, consegue l’ assunzione degli obblighi protettivi nascenti dall’instaurato rapporto protettivo e di controllo.
In materia di colpa medica nelle attività d’equipe, del decesso del paziente risponde ogni componente dell’equipe, che non osservi le regole di diligenza e perizia connesse alle specifiche ed effettive mansioni svolte. Si è infatti ripetutamente affermato che, qualora vi siano più titolari della posizione di garanzia, ciascuno è per intero destinatario dell’obbligo di tutela .

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responsabilità della struttura per soffocamento alimentare di un paziente. contestazione perizia ctu

31/08/2020 n. 18081 - Cassazione civile sez. VI

1. La Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta da BXXX. per i danni subiti in conseguenza del decesso della congiunta XX, avvenuto, mentre era ricoverata nella clinica (OMISSIS), per soffocamento alimentare.

Avverso tale decisione XX e XX, in proprio e nella qualità di eredi di B.C., propongono ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste la XXX, depositando controricorso.

L’altra intimata non svolge difese nella presente sede.

2. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Fissata per la trattazione l’adunanza del 12 marzo 2020, a causa del sopravvenire dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, in attuazione del D.L. 8 marzo 2020, n. 11, art. 1, il Primo Presidente, con decreto del 9 marzo 2020 (prot. Interno n. 526) ne ha disposto il rinvio a nuovo ruolo (come di tutte le cause fissate per le udienze e adunanze camerali in calendario nel periodo compreso tra il 9 e il 22 marzo 2020, con la sola eccezione – che qui non viene in rilievo – di quelle indicate nel cit. D.L., art. 2, comma 2, lett. g).

Quindi, in attuazione dei decreti del P.P. nn. 44, 47, 55 e 76, a loro volta attuativi del D.L. 17 marzo 2020, n. 18, art. 83, comma 7, convertito dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, e successivamente modificato dal D.L. 30 aprile 2020, n. 28, art. 3, comma 1, lett. c), essendo stata prevista la possibilità, per la Sesta Sezione, di fissare adunanze camerali nel numero ivi precisato nel periodo dal 1 al 19 giugno, la presente causa è stata destinata per la trattazione in adunanza camerale nella data odierna, con decreto del Presidente titolare del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.

CONSIDERATO
che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano “omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamentano in sintesi che la Corte d’appello, nonostante i rilievi degli appellanti che evidenziavano, anche sulla scorta di consulenza di parte, che, nell’occorso, sarebbe stato possibile e necessario praticare una tracheotomia, “si è limitata a disquisire in merito alla sola tecnica di (OMISSIS)”, adottata dai sanitari, affermando che era manovra idonea a salvare la vita: ciò in acritica adesione alle conclusioni rassegnate dal c.t.u., nonostante questi, specialista in psichiatria, non fosse dotato di specifiche competenze in materia.

Si dolgono, altresì, che sia stata ritenuta corretta l’esecuzione della manovra di (OMISSIS), nonostante la mancanza di prove al riguardo, che non fossero i documenti medici prodotti dalla controparte.

Segnalano ancora la contraddittorietà della valutazione dell’ausiliario che, pur avendo evidenziato che la paziente aveva difficoltà di autocontrollo alimentare e aveva manifestato una condotta alimentare caratterizzata dalla voracità, ha tuttavia poi negato sussistessero elementi clinici che deponessero per la necessità di un’assistenza particolare per lo svolgimento dell’attività alimentare.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per non avere la Corte di merito operato un prudente apprezzamento della prova “specie in relazione alle considerazioni assorbenti di cui al motivo 1”, ciò traducendosi in un “omesso esame circa un punto decisivo del giudizio con violazione dell’art. 112 c.p.c.”.

3. Con il terzo motivo essi denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 61 c.p.c., e dell’art. 24 Cost., per avere ritenuto, senza darne adeguatamente conto, “chiaro e convincente” il parere espresso dal consulente tecnico d’ufficio, rigettando la richiesta di rinnovazione della c.t.u. medico-legale con la quale si era segnalata l’esigenza che, accanto ad una specialista in psichiatria, l’incarico fosse dato anche a un medico specialista del tratto orofaringeo o comunque ad un medico chirurgo.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono infine “carenza di motivazione”.

5. Il ricorso si espone ad un preliminare ed assorbente rilievo di inammissibilità, per palese inosservanza del requisito di contenuto-forma prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3.

Risulta, infatti, totalmente omessa l’esposizione sommaria dei fatti, da detta norma richiesta a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, allo scopo di garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. Sez. U. 18/05/2006, n. 11653).

La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. Sez. U. 20/02/2003, n. 2602).

Stante tale funzione, per soddisfare detto requisito è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata.

Nel caso di specie il ricorso, come detto, omette del tutto tali requisiti contenutistici.

Prima dell’esposizione dei motivi, invero, il ricorso si limita a indicare le “parti della sentenza di appello contestate” e ciò fa attraverso la trascrizione di brevi stralci della sentenza (rispettivamente tratti dalle pagg. 4, 5, 6 e 7): stralci che attengono a distinti e specifici passaggi argomentativi e che, come tali, non consentono in alcun modo di avere una qualche contezza dei fatti sostanziali e processuali dibattuti nel corso del giudizio.

6. Stante tale preliminare e, come detto, assorbente rilievo è appena il caso di evidenziare che, comunque, anche i motivi di ricorso prospettano plurime ragioni di inammissibilità.

6.1. E’ palese, anzitutto, l’inosservanza dell’onere di specifica indicazione degli atti e documenti richiamati, imposto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

Il ricorrente si limita invero a richiamare la relazione di consulenza tecnica d’ufficio ovvero la perizia di parte o altri elementi di giudizio (informazioni tratte da internet) senza debitamente riprodurne il contenuto nel ricorso – salvo che per brevi stralci – e senza comunque puntualmente indicare in quale sede processuale risultino prodotti, laddove è al riguardo necessario che si provveda anche alla relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta alla Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass. 16/03/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, rispettivamente acquisito o prodotto in sede di giudizio di legittimità (v. Cass. 09/04/2013, n. 8569; 06/11/2012, n. 19157; 16/03/2012, n. 4220; 23/03/2010, n. 6937; ma v. già, con riferimento al regime processuale anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, Cass. 25/05/2007, n. 12239), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. Sez. U 19/04/2016, n. 7701).

6.2. Nel primo motivo, inoltre, il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è dedotto nei termini in cui la giurisprudenza consolidata di questa Corte lo dice deducibile.

Varrà in proposito rammentare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella vigente formulazione (introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), applicabile ratione temporis, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni del art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 07/04/204, nn. 8053 e 8054).

Nella specie, le censure mancano di evidenziare un “fatto storico” e decisivo, il cui esame sia stato omesso, poichè non può ricondursi, di per sè, alla nozione di “fatto storico” (principale o secondario) la “consulenza tecnica di parte” in quanto tale ovvero la richiesta di rinnovazione della c.t.u..

Giova, infatti, precisare che il “fatto storico” di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, è accadimento fenomenico esterno alla dinamica propria del processo, ossia a quella sequela di atti e di attività disciplinate dal codice di rito che, dunque, viene a caratterizzare la diversa natura e portata del “fatto processuale”, il quale segna il differente ambito del vizio deducibile, in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, (v. Cass. 09/07/2019, n. 18328).

E’, pertanto, evidente che, non avendo i ricorrenti evidenziato quale “fatto storico”, decisivo, il giudice a quo abbia omesso di esaminare, la doglianza che lamenta una omessa e/o insufficiente motivazione si risolve nella prospettazione di un vizio di motivazione non coerente con il paradigma di cui all’attuale formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

6.3. Mette conto peraltro ancora rimarcare che, come ripetutamente rilevato dalla stessa ricorrente, la valutazione della Corte territoriale recepisce sul punto una valutazione del c.t.u. (ciò che com’è noto esaurisce i compiti motivazionali del giudice del merito salvo che non siano contro la stessa proposte tempestive e specifiche critiche, non meramente oppositive: v. ex multis Cass. 19/06/2015, n. 12703; 02/02/2015, n. 1815); a fronte di tale dato la ricorrente si limita a richiamare il diverso opinamento del c.t.p. sui vari temi in discussione, omettendo però di indicare se lo stesso sia stato effettivamente e immotivatamente negletto dal c.t.u. per il che avrebbe dovuto essere trascritta almeno la parte della relazione di consulenza tecnica d’ufficio a tale aspetto dedicata.

Anche, dunque, con riferimento al previgente testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non avrebbe potuto configurarsi un vizio di motivazione sindacabile in cassazione.

Secondo incontrastato indirizzo, infatti, il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive (v. ex multis Cass. 19/06/2015, n. 12703; 02/02/2015, n. 1815).

6.4. Sotto il profilo della dedotta (con il secondo motivo) violazione dell’art. 116 c.p.c., è poi appena il caso di rammentare come, in tema di ricorso per cassazione, la violazione di detta norma processuale (la quale sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, solo nell’ipotesi – certamente non ravvisabile nella specie – in cui il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime (Cass. Sez. U 05/08/2016, n. 16598; Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 20/10/2016, n. 21238).

6.5. Equivoco, contraddittorio e per nulla illustrato è poi il contestuale riferimento, nel secondo motivo, anche ad una asserita violazione dell’art. 112 c.p.c..

Varrà comunque in proposito rilevare che la violazione del principio della corrispondenza fra chiesto e pronunciato è in astratto apprezzabile solo con riferimento alle domande ed eccezioni in senso stretto non certo (come invece sembrano assumere i ricorrenti) in relazione alle valutazioni di merito dei fatti allegati (positivi o negativi) e delle prove acquisite a fondamento delle une o delle altre.

6.6. Il terzo motivo non illustra la pertinenza della evocata norma processuale (art. 61 c.p.c.), nè la ragione per la quale essa debba ritenersi nella specie violata.

Varrà comunque rammentare che, come questa Corte ha ripetutamente chiarito, l’eventuale nullità della consulenza tecnica è soggetta al regime di cui all’art. 157 c.p.c., avendo carattere relativo, con la conseguenza che il difetto deve ritenersi sanato se non è fatto valere nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione del consulente (cfr.: Cass. 21/08/2018, n. 20829; 15/06/2018, n. 15747; 31/01/2013, n. 2251; 15/04/2002, n. 5422; 14/08/1999, n. 8659; 24/06/1984, n. 3743).

Generica e priva di contenuto censorio è anche l’evocazione dell’art. 24 Cost..

6.7. Altrettanto va detto con riferimento al quarto motivo, il vizio di “carenza motivazionale” essendo dedotto del tutto apoditticamente solo in rubrica, la successiva illustrazione concretandosi nella mera enunciazione di massime giurisprudenziali che tale vizio definiscono.

E’ appena il caso dunque di rilevare che non può nella specie dubitarsi che una motivazione esista e che non sia meramente apparente, consentendo la stessa di comprendere quale sia la ragione della decisione adottata (legittimità della convenzione e fondatezza della pretesa azionata).

6.8. Appare peraltro evidente che le censure svolte si volgono tutte, nella sostanza, ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dal giudice a quo, e sono pertanto da considerare del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle -fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

7. Il ricorso deve essere in definitiva dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.050 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del cit. art. 13, art. 1-bis.

Così deciso in Roma, il 16 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020

paziente allergica agli antibiotici e morte per infezione

25/08/2020 n. 17696 - Sezione Terza

Ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, la causa imprevedibile ed inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione. Ciò sul presupposto che nelle obbligazioni di diligenza professionale sanitaria il danno evento consta della lesione non dell’interesse strumentale alla cui soddisfazione è preposta l’obbligazione, cioè il perseguimento delle leges artis nella cura dell’interesse del creditore, ma del diritto alla salute, che è l’interesse primario presupposto a quello contrattualmente regolato (così, da ultimo, le sentenze 11 novembre 2019, n. 28991 e n. 28992, in linea con la sentenza 26 luglio 2017, n. 18392).

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