Continuità assistenziale. L'erogazione di una somma aggiuntiva al compenso non è vietata se viene chiesta una prestazione non ricompresa nel contratto
02/02/2022 n. 18 - Corte Conti Liguria
Come ricordato da questa Sezione con la sentenza del 15 dicembre 2021, n. 222, la remunerazione variabile ha la funzione di motivare il lavoratore, incentivandolo nel tendere ai più alti livelli di professionalità e di rendimento. A tal fine, occorre, in primo luogo, che vengano definiti preventivamente obiettivi misurabili
FATTO
Con atto di citazione depositato il 29 marzo 2021, la Procura regionale ha citato in giudizio il dott. Omissis, la dott.ssa omissis, la dott.ssa Omissis e la dott.ssa Omissis per sentirli condannare a risarcire il danno derivante dall’illegittima erogazione di una maggiorazione oraria ai medici di continuità assistenziale per l’importo complessivo di euro 630.672,70, oltre a interessi e rivalutazione.
Fin dal 2003, un ordine del giorno del Consiglio regionale della Liguria aveva impegnato gli organi di governo a stipulare un accordo per migliorare il trattamento economico dei medici di continuità assistenziale, individuato come principale causa della carenza di tali operatori. Con l’Accordo Integrativo Regionale (“A.I.R.”) del 21 luglio 2003, è stata riconosciuta “una quota aggiuntiva pari a 5 euro sulla quota oraria del servizio di continuità assistenziale a fronte della relativa rilevazione epidemiologica o altre eventuali progettualità, da concordarsi a livello aziendale a partire dal 1° luglio 2003”. Gli accordi successivi hanno poi vincolato le ASL “a definire e concordare con le OO.SS. maggiormente rappresentative le progettualità […], prevedendo anche le modalità di verifica del raggiungimento degli obiettivi e di corresponsione della relativa remunerazione” e ad affrontare in sede di Comitato Regionale la mancata definizione dei progetti (AIR dell’11 gennaio 2007).
I convenuti, tuttavia, avrebbero stipulato accordi aziendali che prevedevano la corresponsione dell’integrazione oraria ai medici di continuità assistenziale (già “guardia medica”) dell’ASL 4 Chiavarese senza ancorarla ad appositi progetti volti ad implementare l’efficienza e ad accrescere la qualità del servizio reso, bensì a fronte dello svolgimento di compiti ordinari. Questi ultimi riguardavano: i) il monitoraggio del consumo dei farmaci e delle scadenze; ii) la leggibile e completa compilazione dell’Allegato M e del Registro; iii) il corretto addebito delle visite di continuità assistenziale per gli utenti non residenti; iv) la conferma del livello di integrazione nella rete di Emergenza Territoriale; v) la stesura di un report epidemiologico mensile relativo alla sanità in carcere.
Il danno sarebbe pari alle indennità aggiuntive erogate negli 2016, 2017 e 2018, nei quali la spesa per le maggiorazioni è risultata, rispettivamente, pari a euro 205.800,95, 209.157,30 e 215.714,45.
Il pregiudizio economico sarebbe imputabile, a titolo di colpa grave, ai rappresentanti di parte pubblica del Comitato Permanente Aziendale che, alla seduta del 1° marzo 2016, hanno espresso voto favorevole all’approvazione dell’accordo, nella misura del 50%, in quanto dovrebbe tenersi conto del contributo della componente sindacale. La restante quota sarebbe addebitabile, a titolo di colpa grave, ai dirigenti dell’ASL che hanno proposto e poi ratificato il contenuto dell’accordo aziendale, in considerazione del ruolo assunto nella promozione e nell’attuazione dello stesso.
I convenuti avrebbero contribuito con inescusabile superficialità a una spesa inutile e non funzionale ad alcun interesse pubblico, decidendo di finanziarla senza adeguarsi alle disposizioni della contrattazione nazionale e regionale, né facendosi carico di effettuare o proporre una verifica dei risultati e degli effetti che l’accordo aziendale produceva sul servizio di continuità assistenziale erogato alla collettività.
La Procura ha, quindi, chiesto la condanna del dott. Omissis e della dott.ssa omissis (in qualità di delegati aziendali, nonché, rispettivamente, di Commissario Straordinario fino al 31 luglio 2016 e omissis) a euro 236.502,26 ciascuno, nonché quella della dott.ssa Omissis e della sig.ra Omissis (in qualità di delegati aziendali) per 78.834,09 euro ciascuna.
In data 22 luglio 2021, si è costituito in giudizio il dott. Omissis, eccependo l’improponibilità o la nullità della domanda, in quanto conseguente a un’istruttoria avviata in mancanza di una specifica e concreta notizia di danno.
Nel merito, la difesa ha evidenziato come i medici di continuità assistenziale non fossero legati da un rapporto di pubblico impiego privatizzato, bensì da un rapporto in regime di convenzione.
Pertanto, non sarebbe applicabile la disciplina di cui al d.lgs. n. 165/2001, bensì quella del d.lgs. n. 502/1992 e non sarebbe stata dimostrata l’illiceità degli atti negoziali. Il Pubblico Ministero, inoltre, non potrebbe sindacare nel merito l’utilità delle prestazioni a cui era subordinata la maggiorazione oraria. In ogni caso, tali prestazioni, che sarebbero state monitorate, oltre a essere ulteriori rispetto a quelle ordinarie, avrebbero anche arrecato miglioramenti organizzativi.
Sotto altro profilo, non sarebbe stato soppesato l’apporto causale dei convenuti, trascurando, tra l’altro, il contributo della Regione. Il convenuto ha riferito di aver avuto solamente compiti di indirizzo e che il suo apporto non sarebbe stato preponderante – tra l’altro, egli sarebbe cessato dalle sue responsabilità di Commissario straordinario il 31 luglio 2016. Mancherebbe, inoltre, l’elemento soggettivo della colpa grave.
Il dott. Omissis ha, pertanto, chiesto il rigetto della citazione e, in via gradata, l’esercizio del potere riduttivo, anche in considerazione della possibilità di ripetere le somme versate ai medici in caso di nullità degli atti sottesi all’erogazione.
Il 23 luglio 2021, si sono costituite la dott.ssa Omissis e la dott.ssa Omissis (con memorie dell’avv. Stagnaro), nonché la dott.ssa omissis, (con memoria dell’avv. Maoli). Anch’esse hanno eccepito la nullità della citazione per mancanza di una previa specifica e concreta notizia di danno.
Nel merito, è stato contestato l’approccio della Pubblica Accusa, che da un lato considererebbe l’erogazione non indebita, e dall’altro lato ne affermerebbe l’illegittimità. Il danno sarebbe, peraltro, privo dei requisiti della concretezza ed attualità, in quanto le somme eventualmente non dovute potrebbero essere ripetute presso i medici percipienti.
Le convenute hanno, inoltre, rilevato l’inammissibilità del sindacato del Pubblico Ministero, che non potrebbe riguardare il merito delle scelte organizzative dell’Amministrazione. In ogni caso, le maggiorazioni orarie sarebbero state pagate a fronte dell’effettiva esecuzione di prestazioni aggiuntive, quali l’integrazione dei medici, la compilazione della scheda ISTAT in caso di decesso, il monitoraggio del consumo dei farmaci, l’attivazione di servizi di reperibilità e specifiche progettualità epidemiologiche inerenti al carcere, nonché di un effettivo miglioramento del servizio. Sarebbe, peraltro, riduttivo qualificare la compilazione leggibile del modello M quale adempimento usuale, vista l’importanza di tale documento. Le attività sarebbero, inoltre, state oggetto di monitoraggio. Con riguardo alle visite per utenti non residenti, le attività ulteriori dei medici sarebbero consistite nella riscossione dei pagamenti e nel versamento delle somme incassate.
Inoltre, gli atti del Comitato Aziendale avrebbero avuto valenza consultiva e non decisoria e quindi il danno non sarebbe causalmente riconducibile ai suoi componenti.
Con riguardo all’imputazione del danno, sebbene la stessa Procura abbia riconosciuto il concorso dei rappresentanti sindacali, non sarebbe stata scomputata la quota di danno a essi riferibile, né quella da imputare al Collegio sindacale e agli organi regionali.
Infine, la responsabilità dei pagamenti graverebbe su altre strutture aziendali. È stata, per l’effetto, contestata anche la ripartizione della responsabilità in quote uguali tra i convenuti.
La stratificazione nel tempo delle modalità di erogazione della maggiorazione e la mancanza di competenze specifiche in capo alle convenute, inoltre, ne escluderebbe la colpa grave. Infine, la dott.ssa omissis ha segnalato di essere cessata dalla carica il omissis e la dott.ssa Omissis, eccependo anche la propria estraneità rispetto alla maggiorazione oraria, ha sottolineato di essere stata in aspettativa non retribuita dal 1° agosto 2018 al 31 gennaio 2019. In via gradata, è stato chiesto l’esercizio del potere riduttivo.
All’udienza del 16 dicembre 2021, il Pubblico Ministero, nel riportarsi a quanto già dedotto in atti, ha ricordato che, con la sentenza 15 dicembre 2021, n. 222, questa Sezione si è pronunciata sull’erogazione delle maggiorazioni orarie ai medici di continuità aziendali di altra ASL e ha invocato la conferma dei principi di diritto ivi stabiliti, nei limiti in cui siano applicabili ai fatti in esame.
L’avv. Maoli, per la dott.ssa omissis, ha rappresentato come i fatti oggetto del presente giudizio siano sensibilmente diversi da quelli sottesi alla predetta sentenza di questa Sezione n. 222/2021. Nel sottolineare che, nel caso in esame, sono stati approvati progetti aggiuntivi specifici, la difesa ha segnalato che la convenuta è cessata dal servizio il omissis, anche a seguito omissis, tuttora in corso.
L’avv. Tortorelli, per il dott. Omissis, ha insistito per il rigetto della citazione. La difesa ha, altresì, sottolineato il fatto che la predetta sentenza di questa Sezione n. 222/2021 ha dato atto del coinvolgimento degli organi regionali.
L’avv. Stagnaro, per la dott.ssa Omissis e la dott.ssa Omissis, ha ribadito come le convenute non avessero competenza in relazione alle spettanze dei medici di continuità assistenziale, poiché sono state citate come componenti del Comitato che ha approvato gli obiettivi ma all’epoca dei fatti erano semplici direttori di distretto sanitario. Sarebbe, comunque, da escludere la colpa grave, poiché le convenute avrebbero confermato progetti precedenti. L’avv. Stagnaro ha, altresì, rilevato come in altre controversie relative alla maggiorazione oraria i membri del Comitato non siano stati citati.
Considerato in
DIRITTO
- Deve, in primo luogo, essere rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’atto di citazione per mancanza di una specifica e concreta notizia di danno.
Ai sensi dell’art. 51, comma 1, c.g.c. “il pubblico ministero inizia l’attività istruttoria, ai fini dell’adozione delle determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione erariale, sulla base di specifica e concreta notizia di danno […]”. Il comma 2 precisa, al riguardo, che “la notizia di danno, comunque acquisita, è specifica e concreta quando consiste in informazioni circostanziate e non riferibili a fatti ipotetici o indifferenziati” e il successivo comma 3 sanziona con la nullità qualsiasi atto istruttorio o processuale posto in essere in mancanza di notizia di danno.
Nel caso in esame, gli atti del Pubblico Ministero risultano essere stati indotti dalle attività svolte dalla Guardia di finanza nell’ambito dell’indagine “Viribus unitis”, segnalata dal Nucleo Speciale Spesa Pubblica e Repressione Frodi Comunitarie – Gruppo Analisi e Raccordo operativo, che ha riguardato, appunto, il monitoraggio delle erogazioni di indennità orarie aggiuntive ai medici di continuità assistenziale, fornendo informazioni specifiche e concrete su un presunto danno erariale.
La Guardia di Finanza era legittimata a condurre tale indagine in autonomia e di propria iniziativa, in quanto l’art. 2, comma 2, del D.lgs. n. 68/2001 affida a tale Corpo, tra l’altro, compiti di prevenzione, ricerca e repressione delle violazioni in materia di e) risorse e mezzi finanziari pubblici impiegati a fronte di uscite del bilancio pubblico nonché di programmi pubblici di spesa; f) entrate ed uscite relative alle gestioni separate nel comparto della previdenza, assistenza e altre forme obbligatorie di sicurezza sociale pubblica. Il comma 3 precisa che, nell’espletamento dei compiti di cui al comma 2, si avvalgono delle facoltà e dei poteri previsti dagli artt. 32 e 33 del D.P.R. n. 600/1973, 51 e 52 del D.P.R. n. 633/1972. A fronte di tale quadro, la Guardia di finanza è, dunque, legittimata a svolgere indagini motu proprio, secondo le regole settoriali, anche in assenza di una previa notizia di danno e a prescindere dall’input del Pubblico Ministero contabile.
Pertanto, non sono nulli né gli atti svolti dai militari, né quelli del Pubblico Ministero, che erano supportati da una previa notizia di danno, comunque specifica e rivolta nei confronti dell’ASL 4 Chiavarese. L’eccezione deve, pertanto, essere respinta. - Nel merito, da un punto di vista generale, il servizio di continuità assistenziale rientra nella disciplina dei rapporti per l’erogazione delle prestazioni assistenziali da parte dei medici di medicina generale e assolve alla funzione di assicurare le prestazioni non differibili per l’intero arco della giornata e per tutti i giorni della settimana, quando non sono disponibili il medico di medicina generale o il pediatra di libera scelta. Il servizio è regolato da diverse fonti legislative e negoziali, a livello nazionale, regionale e aziendale.
Come ricordato anche dalla Corte costituzionale (C.Cost. 25 giugno 2019, n. 157), il rapporto tra il Servizio Sanitario Nazionale e i medici di medicina generale è disciplinato da convenzioni triennali conformi agli accordi collettivi nazionali. Ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. d), del D.lgs. n. 502/1992, gli accordi devono, tra l’altro, ridefinire la struttura del compenso spettante al medico, prevedendo una quota fissa per ciascun soggetto iscritto alla sua lista, corrisposta su base annuale in rapporto alle funzioni definite in convenzione; una quota variabile in considerazione dei compensi per le prestazioni e le attività previste negli accordi nazionali e regionali, in quanto funzionali allo sviluppo dei programmi di cui all’allora lettera f).
L’A.C.N. del 23 marzo 2005 disciplina, tra l’altro, i compiti dei medici di continuità assistenziale e la loro remunerazione (artt. 67 e ss.). In particolare, l’art. 67 prevede che “il medico di continuità assistenziale assicura le prestazioni sanitarie non differibili ai cittadini residenti nell’ambito territoriale afferente alla sede di servizio”. Sebbene il comma 6 rimetta alle singole aziende la definizione delle modalità di esercizio dell’attività, l’ACN impone comunque ai sanitari alcuni adempimenti. Tra questi, il medico di continuità assistenziale, “al fine di assicurare la continuità assistenziale in capo al medico di libera scelta, è tenuto a compilare, in duplice copia, il modulario informativo (Allegato M) […]” (art. 67, comma 8). La continuità dell’assistenza ai cittadini non residenti nelle località a forte flusso turistico è invece organizzata nell’ambito degli accordi regionali (comma 14).
L’art. 72 dell’Accordo stabilisce l’entità del compenso orario, mentre l’art. 67, comma 17, dispone che “il medico di continuità assistenziale partecipa alle attività previste dagli Accordi regionali e aziendali”, per le quali “vengono previste quote variabili aggiuntive di compenso”. Il successivo comma 18 rimette agli accordi regionali e aziendali l’individuazione degli “ulteriori compiti” e delle “modalità di partecipazione del medico di continuità assistenziale alle attività previste nelle équipes territoriali, nelle Utap, nelle altre forme organizzative delle cure primarie”.
A livello regionale, già con l’A.I.R. del 2003 (approvato dalla Giunta con deliberazione 25 luglio 2003, n. 875) era stata convenuta un’integrazione oraria di euro 5,00, da erogare “a fronte della relativa rilevazione epidemiologica o altre eventuali progettualità, da concordarsi a livello aziendale”.
La struttura del compenso è stata ulteriormente definita con l’A.I.R. del 2007 (approvato dalla Giunta con deliberazione 24 gennaio 2007, n. 42). L’art. 3, comma 2, infatti, ha imposto alle ASL di concordare con le organizzazioni sindacali le progettualità e le modalità di verifica degli obiettivi già previsti dall’Accordo collettivo nazionale del 2003 (comma 2); in mancanza di accordo entro un semestre, la questione avrebbe dovuto essere deferita al Comitato regionale (comma 3).
L’A.I.R. 2007, inoltre, ha precisato le modalità di prestazione del servizio nei confronti di non residenti, che sono chiamati a sopportarne il costo.
A livello aziendale, le progettualità sono state concordate in sede di Comitato Aziendale Permanente nel 2014 e nel 2016 (deliberazioni del Direttore Generale nn. 306 del 20 giugno 2014 e 226 del 29 marzo 2016). In tali sedi, nel 2014 sono state concordate le seguenti progettualità, a cui subordinare l’erogazione della maggiorazione oraria:
· Monitoraggio del consumo dei farmaci e verifica della scadenza delle scorte;
· Leggibile e completa compilazione del modello M e del registro;
· Corretta applicazione della procedura di addebito delle visite di continuità assistenziale a utenti non residenti in Regione;
· Conferma del livello di integrazione nella rete di emergenza territoriale.
Nel 2016, per i medici assegnati al carcere, è stata poi prevista la compilazione di un report epidemiologico mensile, oltre che della documentazione sanitaria pertinente.
Infine, i medesimi accordi hanno previsto, per gli obiettivi misurabili da un punto di vista quantitativo, l’erogazione della maggiorazione a scaglioni. In tal senso, infatti, per quanto concerne la compilazione dei modelli M, del registro e delle rilevazioni epidemiologiche carcerarie, nonché per l’addebito delle visite a cittadini non residenti, un tasso di adempimento inferiore al 95% comportava in ogni caso la riduzione della retribuzione aggiuntiva, che si azzerava in presenza di un valore inferiore al 50%. - Tutto ciò premesso e considerato, il Collegio ritiene che, in fattispecie, la maggiorazione oraria de qua sia stata erogata in presenza di attività ulteriori rispetto a quelle previste dalla contrattazione collettiva, correttamente concordate e formalizzate, e che, pertanto, non sia dimostrata, nel caso di specie, l’esistenza di un danno erariale.
3.1. Come ricordato da questa Sezione con la sentenza del 15 dicembre 2021, n. 222, la remunerazione variabile ha la funzione di motivare il lavoratore, incentivandolo nel tendere ai più alti livelli di professionalità e di rendimento. A tal fine, occorre, in primo luogo, che vengano definiti preventivamente obiettivi misurabili (in tal senso già Corte dei conti, Sez. I Giur. Centr. d’Ap., 25 gennaio 2021, n. 20), o quantomeno verificabili, per guidare il lavoratore a orientare i propri sforzi verso la realizzazione dell’interesse pubblico perseguito dall’Amministrazione. Gli obiettivi e le progettualità al cui raggiungimento viene subordinata la remunerazione supplementare devono essere ragionevolmente “sfidanti”, nonché aggiuntivi rispetto alle normali mansioni e attinenti alle funzioni, in modo da creare un valore aggiunto per il datore di lavoro e giustificare l’ulteriore remunerazione. Devono, altresì, essere specifici e raggiungibili entro un periodo di tempo predeterminato, per consentirne la misurazione e non rimettere l’erogazione dei compensi al mero arbitrio di chi è chiamato a verificare la realizzazione dei progetti. Tali caratteristiche sono essenziali per assicurare la capacità incentivante degli obiettivi e dei “bonus”, che altrimenti possono rivelarsi inefficaci e tamquam non esset, tramutandosi in una integrazione indiretta del compenso fisso, in elusione delle procedure previste dall’ordinamento.
3.2. Nella fattispecie, l’ASL 4, nel 2014 e nel 2016, ha previsto ex ante diversi obiettivi a cui collegare l’erogazione della maggiorazione oraria.
Fra tali obiettivi, è stata prevista, innanzi tutto, la compilazione del registro e del modello M.
A onor del vero, tali adempimenti non hanno nulla di aggiuntivo e non possono da soli giustificare il compenso supplementare, giacché la compilazione del modello M era espressamente prevista tra i compiti dei medici di continuità assistenziale dall’art. 67 dell’A.C.N.; inoltre, la compilazione del registro è un adempimento strumentale allo svolgimento del servizio di continuità assistenziale e in quanto tale rientra nei normali obblighi di servizio dei medici. Tali progettualità, dunque, non aggiungono nulla a quanto i medici erano comunque già tenuti a fare e pertanto non sarebbero sufficienti a giustificare l’erogazione di un compenso supplementare.
Tuttavia, la maggiorazione oraria non era subordinata solamente a tali compiti, ma anche allo svolgimento di altre attività, che, invece, erano aggiuntive rispetto a quelle ordinarie a cui erano tenuti i medici.
In primo luogo, si evidenzia come i medici non fossero espressamente tenuti a monitorare le scorte dei farmaci e le relative scadenze, tendenzialmente appannaggio dei loro ausiliari.
Per quanto concerne le visite a non residenti, inoltre, né la legge, né gli accordi nazionali e regionali prescrivevano ai medici di riscuotere gli importi dovuti per le prestazioni. Sebbene in base alla normativa generale essi potessero limitarsi a consegnare un bollettino di pagamento, ai medici di continuità assistenziale dell’ASL 4 era richiesto di riscuotere e poi di rendicontare e riversare all’ASL gli importi riscossi, assumendo gli obblighi e i rischi dei consegnatari di denaro pubblico.
La stessa Procura, del resto, non ha contestato il carattere aggiuntivo di tale attività, né la sua materialità, ma soltanto il fatto che i medici fossero già retribuiti tramite la percezione della metà delle somme incassate dalle visite ai non residenti.
Il Collegio non condivide sul punto la prospettiva della Pubblica Accusa. La retrocessione del 50% delle somme dovute da parte dei pazienti non residenti, infatti, rappresentava il corrispettivo della visita eseguita e non dell’attività di riscossione, che pertanto ben poteva essere remunerata in aggiunta. Inoltre, all’infuori della maggiorazione oraria, i medici non avrebbero avuto alcun apprezzabile beneficio dallo svolgimento dell’attività di incasso. Essi, infatti, non avrebbero potuto trattenere la loro quota dalle somme riscosse, visto che erano tenuti a versare l’intero importo all’ASL, che provvedeva poi a retrocedere ai medici le loro spettanze.
Pertanto, la percezione dei pagamenti era svolta, in primo luogo, nell’interesse dell’ASL – migliorando l’efficacia della riscossione – e dei pazienti – che in tal modo non sarebbero stati tenuti a effettuare un ulteriore pagamento, tipicamente recandosi in un ufficio postale. Trattandosi di attività aggiuntiva e monitorabile, era idonea a legittimare l’erogazione di un compenso supplementare.
Per quanto concerne l’integrazione con il 118, i medici risultano aver svolto attività ulteriori, finalizzate a prestare supporto alla gestione del pronto soccorso. Fra tali attività, essi erano chiamati anche a prestare soccorso nelle zone montane e a supplire alla mancanza dell’automedica, se del caso accompagnando in ambulanza i pazienti. Gli obblighi contrattuali, pur prescrivendo di non abbandonare i pazienti, non imponevano anche l’accompagnamento in autoambulanza. L’acquisita disponibilità dei medici di guardia, anche tramite l’erogazione della maggiorazione oraria, ha invece consentito di avvalersi dei sanitari della medicina generale a supporto degli operatori di emergenza, alleviando il carico di lavoro delle automediche, laddove esse potevano essere sostituite affiancando ai barellieri un medico di continuità assistenziale.
Risulta, altresì, ultronea rispetto alle attività ordinarie la redazione di un report epidemiologico relativo al carcere.
3.3. Oltre a essere aggiuntive, le predette attività sono state espressamente collegate all’erogazione della maggiorazione oraria e il loro mancato svolgimento avrebbe potuto comportare una contrazione stipendiale. La corretta formalizzazione ex ante degli obiettivi ha consentito alla quota oraria aggiuntiva di dispiegare la sua efficacia incentivante, in coerenza con la ratio della maggiorazione prevista dagli accordi nazionali e da quelli regionali.
3.4. A fronte della puntuale definizione di obiettivi, rileva il Collegio come l’attività di monitoraggio sia stata talvolta poco strutturata. Tuttavia, gli atti del giudizio danno atto della conduzione, nella sostanza, di un’attività di presidio, che ha portato a contestare e verificare, tra l’altro, casi di riscossione sospetti e presunti episodi di mancata assistenza agli operatori del 118.
La Procura, del resto, non ha dimostrato che le attività aggiuntive de qua non siano state svolte e dunque, sebbene la formalizzazione del monitoraggio degli obiettivi fosse migliorabile, non è provata la non debenza delle maggiorazioni orarie e dunque l’esistenza di un danno erariale. - Per quanto precede, dunque, non risulta dimostrata, nel caso qui all’esame, la sussistenza di un danno erariale e la domanda attorea non può, pertanto, trovare accoglimento.
Ai sensi dell’art. 31 c.g.c., 2° comma, si liquidano in dispositivo l’ammontare degli onorari e dei diritti spettanti alla difesa, a carico dell’Amministrazione, e,
per via del mancato deposito della ‘nota spese’, le spese di lite vengono liquidate in via equitativa, avuto riguardo al tariffario, con riferimento al valore della controversia e alle fasi del giudizio effettivamente pertinenti, applicando la riduzione del 50%.
In particolare, per quanto concerne le posizioni delle convenute dott.ssa Omissis e dott.ssa Omissis, rappresentate dal medesimo avvocato con difese in larga parte coincidenti, l’onorario viene determinato applicando l’aumento del 20% per la seconda convenuta e dividendo il totale in parti uguali.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale regionale per la Liguria, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione, definitivamente pronunciando,
· rigetta la domanda attorea;
· condanna l’ASL 4 Chiavarese a rifondere ai convenuti le spese di giudizio, da maggiorare di IVA, se dovuta, e contributi, e liquidandole come segue:
· nei confronti del dott. Omissis: euro 3.000,00;
· nei confronti della dott.ssa omissis: euro 3.000,00;
· nei confronti della dott.ssa Omissis: euro 1.800,00;
· nei confronti della dott.ssa Cristina Omissis: euro 1.800,00.
· Manda alla Segreteria per gli adempimenti di rito.
Così deciso in Genova, nella camera di consiglio del 16 dicembre 2021.